Lunedì 20 Maggio 2024
Attilio Manca urologo

Il terzo episodio del podcast sull'urologo assassinato

di Luca Grossi

Non passava giorno che Attilio Manca non sentisse telefonicamente i suoi genitori.
Saranno proprio loro a sentire per l’ultima volta la sua voce: nella mattinata dell'11 febbraio 2004, Attilio chiese loro di controllare una motocicletta che si trovava a Tonnarella, vicino a Barcellona Pozzo di Gotto.
Di questa telefonata si perderà ogni traccia.
I genitori di Attilio ne riferirono l’esistenza: la procura di Viterbo avrebbe potuto eseguire degli accertamenti con Telecom Italia, ma questo non venne fatto. Si legge tra le carte della commissione antimafia che la compagnia telefonica aveva risposto che "il tabulato potrebbe non documentare chiamate per problemi tecnici non prevedibili né rilevabili. Telecom Italia, su richiesta delle singole Autorità, è a disposizione per effettuare apposite ulteriori elaborazioni ed estrazioni di dati che possano eventualmente integrare quanto contenuto nel presente tabulato". Integrazioni che, "a quanto è dato sapere, non sono mai state richieste dall'autorità giudiziaria viterbese", ha scritto la commissione.
La Procura, invece di scavare, tesse dubbi sulla memoria della madre di Attilio, insinuando un groviglio temporale. Ma la commissione antimafia respinge questa ipotesi, ritenendola inconsistente alla luce della frequenza serrata delle comunicazioni telefoniche tra Attilio e i suoi genitori.
Nelle settimane successive all'atroce fine del figlio, i genitori di Attilio apprendono che la motocicletta menzionata nella telefonata, parcheggiata nella residenza estiva di Tonnarella, (contrada a metà strada tra i comuni di Terme Vigliatore e di Furnari, entrambi in provincia di Messina), è funzionante. Una chiamata enigmatica, dunque. Come un possibile segnale lanciato nel disperato tentativo di lasciare una traccia?
Quella telefonata, apparentemente senza senso, quindi, poteva essere il disperato tentativo di lanciare un segnale?
Nella giornata dell’11 febbraio, il suo telefono squilla in continuazione, ma lui non risponde. Una collega infermiera, preoccupata, telefona e invia SMS più volte. Anche altri colleghi cercano di mettersi in contatto con lui, ma inutilmente. A partire da quella telefonata delle 9:30 a sua madre che non risulta nei tabulati. Perché Attilio quel giorno chiude i rapporti con tutti? C’è qualcuno che glielo impedisce? E Perché? E cosa c'entra Tonnarella?
A fare riferimento a quel territorio furono le parole registrate da un'intercettazione ambientale del 13 gennaio 2007 di Vincenza Bisognano, sorella del boss barcellonese Carmelo Bisognano (oggi collaboratore di giustizia), mentre si trova in auto assieme al suo convivente Sebastiano Genovese e a una coppia di amici. I quattro iniziarono a parlare della vicenda di Attilio Manca, collegandola alla presenza di Provenzano a Barcellona Pozzo di Gotto. Uno degli uomini in macchina, Massimo Biondo, affermò con estrema certezza che il capo di Cosa nostra si nascose per un periodo proprio nella cittadina messinese e, riferendosi ad Attilio Manca, aggiunse: 'Però sinceramente, questo ragazzo era a Roma, a chi doveva dare fastidio?'. A quel punto, Vincenza Bisognano rispose: 'Perché l'aveva riconosciuto'. Il soggetto a cui si sta facendo riferimento era evidentemente il boss Bernardo Provenzano, tanto che Biondo subito dopo incalzò: 'Lo sanno pure le panchine del parco che Provenzano era latitante a Portorosa... cioè lo sanno tutti'. Portorosa è a un passo da Tonnarella. Questa intercettazione ambientale ha fatto parte di una delle opposizioni alle richieste di archiviazione della procura di Viterbo, ma la stessa procura aveva omesso di trasmettere gli atti alla direzione distrettuale antimafia di Roma.


Il secondo episodio del podcast sull'urologo assassinato

di Luca Grossi

Sulla tragica dipartita di Attilio, la Procura di Viterbo si è mossa con una superficialità degna di un romanzo.
Le indagini sono state condotte omettendo molti accertamenti indispensabili, tra cui gli esami sulle impronte digitali trovate sul luogo del crimine, gli accertamenti genetici sulle cicche di sigaretta e le analisi sulle impronte trovate sulle due siringhe usate per l'iniezione della dose letale.
Inoltre, nessuna prova è stata portata a sostegno di uso di eroina da parte di Attilio: i suoi colleghi escludevano che potesse farne uso; la persona alla quale era legato da una relazione sentimentale mai ne aveva avuto sentore; per non parlare del suo stato di salute che, a detta dei suoi amici e colleghi, era impeccabile, così come la sua diligenza sul lavoro. Nonostante tutto questo la Procura di Viterbo aveva indicato come unico responsabile una donna: Monica Mileti, indagata una decade dopo la morte di Attilio. Per anni, infatti, è stata accusata di essere l'autrice della cessione della presunta dose di eroina. Una sorta di capro espiatorio contro cui buttare tutte le colpe.
Una menzogna colossale, destinata a essere cestinata.
E cosi avvenne: il 16 febbraio 2021, dopo un lungo calvario giudiziario.
Eppure anche in quel processo sono accadute cose strane: Cesare Placanica, l'avvocato della donna, intervistato del giornalista Paolo Borrometi, dichiarò che la Procura della Repubblica di Viterbo gli disse di far confessare il reato alla sua assistita, anche se innocente. Ad oggi non risultano essere arrivate smentite ufficiali.
Se Mileti avesse confessato il reato avrebbe messo una pietra tombale sull'omicidio di Attilio.
Ma perché c'era così tanto accanimento nel voler far condannare una persona completamente estranea ai fatti?
Ad oggi non ci è dato sapere. Ma un dettaglio salta subito all'occhio: il totale disinteresse per la pista che porta a Bernardo Provenzano e ai misteri della sua latitanza.
Ad oggi esiste un documento che ricostruisce i fatti come sono realmente accaduti. Si tratta della relazione della commissione parlamentare antimafia della scorsa legislatura che, chissà per quale motivo, qualcuno ha cercato di censurare prima della sua pubblicazione ufficiale.



Il primo episodio del podcast sull'urologo assassinato

di Luca Grossi

Attilio Manca
, nato a San Donà di Piave nel 1969, era un uomo dal sangue siciliano e dall'intelligenza vivace. Dopo una brillante carriera accademica, laureandosi con i massimi voti in Medicina presso l'Università Cattolica di Roma e specializzandosi in urologia, sembrava destinato a un futuro luminoso.
Nella prima puntata della serie "Uccidetelo! L'omicidio di Attilio Manca" ANTIMAFIADuemila racconta la storia della sua morte. Ufficialmente classificata come suicidio, si rivela essere un enigma avvolto da troppe stranezze e incongruenze. Le siringhe trovate nella sua casa, il corpo "apparecchiato" per una scena preimpostata, tutto sembra indicare che Attilio Manca è stato vittima di un assassinio camuffato. Ma chi avrebbe potuto avere interesse a uccidere un uomo così rispettato e stimato?





E qui entra in gioco il caso del boss corleonese Bernardo Provenzano, un'ombra che si insinua nella tragedia: il boss era malato e aveva bisogno di cure mediche, e Attilio Manca, si sarebbe rifiutato di curarlo prima di un intervento chirurgico a Marsiglia. Potrebbe essere questa la chiave per comprendere il mistero della sua morte?
Le dichiarazioni di Carmelo D'Amico, collaboratore di giustizia, rivelano un coinvolgimento sinistro di Cosa Nostra e degli apparati deviati dello Stato. Un assassinio orchestrato in modo subdolo per coprire la latitanza di Provenzano.
E c'è persino un velato riferimento a un agente dei Servizi, Giovanni Aiello, soprannominato "Faccia da mostro". Coincidenza o elemento chiave in questo intricato puzzle?

Tratto da: antimafiaduemila.com

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